A quattro anni dall’uscita di Plebei ed altri animali compare nel mercato librario un testo che riprende e amplia il lavoro di svelamento della normativa nobiliare dell’Ordine di Malta intrapreso da R. de Milford.
Inserito nella prestigiosa collana del Gran Priorato di Lombardia e Venezia “infirmis servire regnare est” - due volumi finora stampati di cui il secondo, a quanto si può dedurre dal titolo, traduzione in inglese del primo - ne è autore il valente avvocato Gioacchino Quadri di Cardano, e si intitola “I processi nobiliari nell’Ordine di Malta”.
Il tomo si presenta tipicamente melitense già nell’estetica. Dotato di copertina rigida dalla grafica accattivante e colorata, sfuma questa propria apparenza granitica nel passaggio alle pagine interne, quando il lettore viene inevitabilmente indotto a valutare la croccante leggerezza della carta e a chiedersi pertanto in quali poderose opere assistenziali verranno investiti i 50 euro che pure ha dovuto sborsare per accaparrarsi il testo. Testo che - dicono impudichi gli ultimi fogli - a riprova della massima frugalità conventuale risulta stampato in Polonia da Amazon, premiata ditta attivamente impegnata nella cancellazione delle librerie, nello sfruttamento dei lavoratori e nella diffusione endemica dello sradicamento sociale, tutte condizioni che sappiamo essere necessarie per il benessere psicofisico del nobile e la prosecuzione delle opere assistenziali dell’Ordine.
Ma tralasciamo le apparenze da abito di confezione che si spaccia per sartoriale, e veniamo al contenuto del volume.
L’autore sa il fatto suo, ed è cosciente dei profili di estrema debolezza giuridica di molte delle pretese accampate dall’Ordine, in primo luogo quella della sovranità che infatti viene fin dalle prime pagine proclamata - senza dare spazio alla autorevole dottrina giuridica internazionalista che pure la nega - adducendo una continuità di esistenza e di pretensioni che lascio valutare all’ilarità del lettore. Notevole è poi il riferimento alle ricezioni nobiliari atipiche e divergenti rispetto a quanto stabilito nella normativa melitense, a cui si fa cenno senza rilevare il dato causale di questo fenomeno, ossia la trasformazione della nobiltà da ceto in casta a cui non si può accedere se non truccando le carte.
Il tema indicato nel titolo è comunque ampiamente e oggettivamente sviscerato. Ad una prima parte dedicata a tratteggiare gli antecedenti della disciplina nobiliare e i princìpi in materia adottati oggi dall’Ordine per la Lingua d’Italia, segue una seconda e più interessante sezione nella quale tutte le varie forme di nobiltà esistite nel frammentato panorama giuridico della penisola italiana di Antico Regime vengono analizzate sotto la luce del diritto melitense ai fini di una loro eventuale spendibilità per l’ingresso nell’Ordine in ceto nobiliare.
A rendere questo volume il più completo trattato oggi disponibile sull’argomento concorre evidentemente, oltre all’indubitabile acribia del dotto autore, anche la militanza di questi nelle fila dell’Ordine, a cui si deve senza meno il reperimento di testimonianze tanto ufficiali quanto ufficiose difficilmente accessibili agli estranei o agli occupanti i gradi servili della struttura piramidale melitense. E questo - ulteriore nota di merito - senza inficiare l’onestà di fondo che contraddistingue il lavoro e che noi diamo per presupposta pur non conoscendo di persona l’ottimo autore, dissociandoci radicalmente dal sospetto che talune perle di sincerità che pure si leggono nelle pagine del volume siano dovute più ad olimpica sprezzatura della plebe che al desiderio di mostrare la verità. Come ad esempio nel punto il cui il Nostro conviene con le conclusioni di Plebei ed altri animali nel definire “superiorità razziale” l’idea del “sangue blu”. E lo stesso si potrebbe pensare cercando - nel punto in cui si parla dei trattamenti - taluni provvedimenti nobiliari di matrice giudiziaria successivi al 1946 regolarmente annotati financo nell’Elenco storico della nobiltà italiana pubblicato dall’Ordine nel 1964 ma che qui, come dire, non saltano all’occhio (e hai voglia a sostenere che il Libro d’Oro non è più un pubblico registro dopo il 1 gennaio 1948!).
Degne di speciale menzione sono le doti di diplomazia dimostrate nel trattare l’argomento dei titoli concessi da sovrani in esilio e capi di dinastie spodestate, anche nell’evitare di segnalare il volume che nel 2020 ha ricostruito attentamente la genesi - per gli ordini cavallereschi preunitari - della pur citata teoria della “sovranità affievolita”.
Difetti? Al di là di qualche refuso ne vediamo pochi, in quanto il volume affronta la materia in maniera essenzialmente coerente a quanto ci si può aspettare da uno studioso organico all’Ordine: la nobiltà è considerata come una casta chiusa (commoventi le proposte di aggiornamento in conclusione del volume), l’Ordine è un istituto di Antico regime e tale deve restare, i titoli concessi da Umberto II in esilio vanno bene, e non si leggono eccessivi riferimenti alla possibilità di fondare nuovi giuspatronati e quindi di accedere - pagando, se si può dire - alla categoria di Onore e Devozione.
Naturalmente si evita attentamente di citare l’unico saggio senza il quale - ci permettiamo di crederlo - il libro oggetto di questa recensione non sarebbe stato stampato o quantomeno non con questi contenuti, saggio nel quale viene mostrata la falsa coscienza che impregna tutto questo impianto giuridico quale vera struttura di peccato da abolirsi il prima possibile. E questo perché l’Ordine è in teoria un ente religioso con finalità di elevazione spirituale tramite la difesa della Fede e l’assistenza ai poveri e bisognosi, e dunque ciò che pure sarebbe ammissibile in un circolo privato con finalità ricreative diventa osceno se proposto come strumento di salvezza e di santificazione.
Insomma, se servire gli infermi è regnare e dunque un OSS o un cameriere sottopagato sono uguali ad un principe del sangue o ad un duca inglese, ben si può dire che il lavoro rende liberi anche se coattivamente reclusi in un campo! E così sia, tra un pranzetto al circolo, una Santa Messa domenicale rigorosamente in Rito Antico, e una gitarella fuori porta in divisa da barelliere e nastrini bene in vista.
Come detto, non ci aspettavamo nulla di diverso, e dunque va bene così. Anzi che, alla fine, tirati per la giacca - pardon, per la cocolla - hanno deciso di condividere col mondo esterno quanto Plebei ed altri animali ha solo potuto accennare in appendice.
Caldeggiamo pertanto l’acquisto del volume e ci complimentiamo vivamente con l’ottimo autore per il lavoro svolto, davvero completo ed esaustivo.