Siccome dire l'ovvio in tempi di menzogna è il più grande gesto rivoluzionario, inevitabilmente foriero di tanti guai per chi lo pone in essere, dichiaro fin d'ora che nella presente pagina non intendo fare riferimento a nessun caso umano in particolare, nè a particolari pubblicazioni, dovendosi ritenere i riferimenti a persone e cose del tutto casuali e strumentali ad un ragionamento che ha nelle opinioni dello scrivente, e nelle voci che sono arrivate al suo orecchio, le uniche fonti. Tantomeno questa pagina intende rappresentare un invito a fare falsificazioni nobiliari di sorta, rispetto alle quali manifesto la mia assoluta contrarietà. Come scritto in precedenza, il modo per diventare nobile oggi c'è, ed è acquistare un titolo baronale scozzese che sia solido nei suoi presupposti e ben spendibile in società, e ciò senza tante falsificazioni e giravolte.
Precisato ciò, procedo a dichiarare la mia rivoluzionaria ovvietà: i falsi nobili esistono. Essi sono fra noi, godono di apparente ottima salute e sono bellamente censiti in taluni tra gli almanacchi nobiliari che contano, nonchè ricevuti in importanti ordini cavallereschi in gradi non propriamente consoni alla loro reale provenienza. Come dice infatti un mio amico, negli almanacchi nobiliari è censito circa il 60% dei nobili veri, e il 100% dei nobili falsi!
Vedo già le faccine scandalizzate delle contessine, i musetti aggrottati dei frequentatori dell'alta società, e i valletti in polpe pronti a prendere drastici provvedimenti di espulsione a voce ferma sebbene stridula...ma sono desolato per tutti loro. Questa è casa mia e si segue l'imperativo di cercare la Verità. Qui il re viene messo a nudo senza troppi riguardi, e non basta una decorazione a croce biforcata per coprire le intime cose che tutti sanno ma che nessuno dice se non sottovoce al compagno di pettegolezzi del momento. Salvo poi essere consapevoli (cosa rara...) che, come dice un mio amico, i nobili passano metà del tempo a parlar male degli altri, e l'altra metà del tempo a controllare che gli altri non parlino male di loro...con il risultato che tutti finiscono per parlar male di tutti!
Venendo a noi, chiunque abbia un minimo di coscienza storica, ma proprio un minimo, sa bene che le falsificazioni genealogiche e nobiliari sono vecchie quanto la genealogia e la nobiltà. E questa cosa è tanto vera che in epoche di maggiore sincerità, nonchè di maggiore opportunità dell'esistenza stessa della nobiltà (oggi, diciamocelo, del tutto inutile), gli stessi nobili non avevano vergogna a commissionare genealogie che sublimavano coscientemente nella fantasia letteraria, nell'artificio stilistico, nel canovaccio di un'opera barocca che era chiaramente concepita per cantare il trionfo del committente molto più che la veridicità della storia e dei documenti che la narrano. Pensate forse che i principi Massimo, nobile famiglia romana, abbiano veramente creduto di poter discendere da Quinto Fabio Massimo "il temporeggiatore" vissuto a Roma nel III secolo prima di Cristo? O davvero nei membri di casa Colonna, altra famiglia di principi romani, scorre il sangue della Gens Iulia, di Giulio Cesare e quindi di Enea?
Ovviamente no. E questo perchè loro sapevano bene che la nobiltà e la genealogia hanno nella vanità, e non nella verità, l'imprescindibile principio primo. La qual cosa era ai tempi assolutamente scontata, visto che la nobiltà costituiva l'involucro di un potere autentico e tangibile, chiamato ad esprimersi quotidianamente nei ruoli sociali, nei gravosi incarichi di governo, nella proprietà di terre e ricchezze da amministrare e trasmettere quale veicolo di appartenenza al ceto dirigente. Oggi che il potere si è spostato dall'anticamera delle corti alle borse valori di Londra e New York, il pascolo della nobiltà resta aperto a scorribande di eunuchi modaioli, di tardivi censori al botulino e di altrettanto tardive femmine scaltramente a caccia del fesso di turno purchè coronato. Il risultato di questo eccessivo "prendersi sul serio" è che il falso viene ritenuto vero quando il suo fine era l'essere innoquamente e vanitosamente verosimile e nulla più, e dunque via a stracciarsi le vesti difronte al "nobile patacca" inconsapevole epigono di una lunga e gloriosa tradizione di fantasie umanamente comprensibili e affatto lesive dei diriti di chicchessia!
Il problema, comunque, verteva e verte sulla reperibilità della documentazione fondativa del preteso diritto di nobiltà, e tale problema fino a non troppi anni addietro era affrontato con una certa larghezza di manica. Basti pensare che ancora il Regolamento della Consulta Araldica del gennaio 1888, agli art. 22 e 25, permetteva l'emanzazione di atti di riconoscimento di titoli e predicati nobiliari senza che fosse necessario l'apporto di particolari documentazioni, bastando il possesso e l'uso pubblico e pacifico per almeno quattro generazioni. Tale provvedimento permise, come immaginabile, un quantitativo ingente di ingressi nella nobiltà di "titolati" non propriamente giustificabili dal punto di vista storico nell'esercizio delle loro oramai consolidate prerogative, e venne soppresso solo dall'articolo 14 del R.D 21 gennaio 1929 n. 61 sebbene lo stesso decreto, all'articolo 133, ancora consentisse la presentazione di domande di riconoscimento della semplice nobiltà o di un titolo primogenitale per lungo uso, ossia sempre con il semplice possesso pubblico e pacifico per almeno cinque generazini, e ciò fino al 31 dicembre 1932. E questo per dire che ancora oggi sono annotate nell'Elencho Ufficiale della Nobiltà Italiana, conservato all'Archivio di Stato, non poche famiglie che hanno avuto conferma dei loro "diritti" nel modo descritto poch'anzi e che, in forza di tali provvidenziali inserimenti, oggi sono annoverate nelle "prime parti" dei moderni almanacchi nobiliari, nonchè nelle classi nobiliari degli ordini che prevedono tali distinzioni.
Ma, rimanendo ad un approccio documentale, come avveniva, e avviene, la creazione di un falso nobile? In linea puramente astratta la cosa è molto semplice: basta riprodurre in maniera sufficientemente credibile quei documenti che gli almanacchi, e gli ordini cavallereschi, richiedono per inserire il candidato nelle classi nobili. La qual cosa, naturalmente richiede l'esercizio di due virtù rare: la prudenza e la perizia. La prudenza, innanzitutto, perchè la falsificazione di qualunque documenti è uno sport pericoloso, dagli esiti anche penalmente rilevanti, e non di rado porta a risultati poco credibili: come pensate che possa essere accolto un documento provante l'uso di uno stemma quando nel periodo in questione la famiglia a cui si pretende di attribuire il predetto stemma risulta analfabeta, senza proprietà immobiliari ed esercente il lavoro dei campi? Affinchè un falso sia credibile deve infatti essere coerente con la situazione nella quale si va ad inserire, e dunque non in contraddizione con la realtà. Tanto meno quella documentaria, dovendosi dunque ritenere una pessima idea l'inserimento in un pubblico archivio (fattispecie penalmente rilevante!) di un documento di propria creazione, sebbene verosimile nei contenuti e nella forma, senza tuttavia tenere conto del numero di serie delle carte contenute nella filza stessa, realizzando così un "doppio numero" quantomeno sospetto...
E ancora: la perizia. Falsificare è un arte. Un documento falso, per essere credibile, deve essere vergato su supporto d'epoca (carta coerente con la data del documento stesso), inchiostro di un certo tipo (c'è cospicua trattatistica sugli ingredienti degli inchiostri antichi), scrittura credibile perchè conforme alle canonizzazioni dell'epoca (anche qui, sono necessarie non poche conoscenze paleografiche), il tutto realizzato da una persona che abbia una buona mano e sappia fare materialmente quello che tutti, più o meno, possono sapere in teoria.
Tornando al nostro argomento, naturalmente le falsificazioni possono riguardare qualunque cosa: da uno stemma su marmo ad un monile d'oro o d'argento, valendo sempre i due principi esplicitati sopra. Ogni oggetto aveva nel passato le sue tecniche di fabbricazione e solo riproducendo le stesse identiche modalità si può essere sicuri di riprodurre un oggetto credibile.
Alcuni arditi, nei decenni passati, sono giunti addirittura a falsificare non solo una generica nobiltà o una distinta civiltà, ma addirittura titoli nobiliari veri e propri. Come abbiano fatto, è per me fonte di grande stupore unita ad un pizzico di ammirazione. Alcune regioni d'Italia, soprattutto, sono state vere e proprie fucine di falsi nobili (Calabria, Umbria e Marche soprattutto...), complice l'esistenza di patriziati locali poco studiati e dunque costituenti un patrimonio araldico-nobiliare ampiamente saccheggiabile semplicemente inventando collegamenti e discendenze false ma astrattamente possibili per omonimia, facendole avvalorare da pubblicazioni locali ampiamente prezzolate e, con l'aiutino di qualche buona amicizia nell'ambiente nobiliare che conta, ecco lì che il signor Pinco Pallo, un tempo figlio del droghiere, diventa il signor nobile Pinco Pallo patrizio di XXX.
In tutta questa baraonda ci soccorre l'opinione di un signore che naviga l'ambiente dalla nascita, ossia il principe Sforza Ruspoli il quale ebbe giustamente a notare come il Libro d'Oro della Nobiltà Italiana (ai tempi l'unico almanacco in circolazione, edito dal Collegio Araldico di Roma) all'abolizione della monarchia contava una sessantina di pagine mentre 60 anni più tardi ne aveva più di mille. Legittimo supporre, dunque, l'ingresso di qualche infiltrato...
Proprio al riguardo, un altro signore che sa il viver del mondo mi ha fatto cortesemente notare come sovente le inserzioni negli almanacchi nobiliari successive alla caduta della monarchia abbiano riguardato famiglie legate da rapporti di parentela con casati già presenti nella "prima parte" degli almanacchi medesimi, oppure assurte a ruoli di un certo qual rilievo nella politica e nell'industria, e dunque dotate di una certa influenza quantificabile non solo (ma anche) in termini di denaro...e si sa, le norme si applicano per i nemici mentre per gli amici si interpretano...
Resto dunque della mia opinione: è molto più decoroso comprarsi un titolo ex novo, formalmente certificato nella sua esistenza da una autorità statale che è l'unica possibile fons honorum dotata di certezza e affidabilità, piuttosto che dire di discendere da antenati non propri pasticciando il tutto con falsità, amicizie e maneggi vari. E questo sia perchè una genealogia falsa è oggettivamente indecente, in quanto contraria alla Verità, sia perchè una tale condotta mi pare oltremodo irrispettosa dei nostri maggiori a cui, nel bene e nel male, dobbiamo il bene della vita unitamente a quel poco o tanto di benessere per il quale riteniamo di poterci permettere attenzione e cura per un aspetto del tutto accidentale dell'esistenza qual è la nobiltà.
Precisato ciò, procedo a dichiarare la mia rivoluzionaria ovvietà: i falsi nobili esistono. Essi sono fra noi, godono di apparente ottima salute e sono bellamente censiti in taluni tra gli almanacchi nobiliari che contano, nonchè ricevuti in importanti ordini cavallereschi in gradi non propriamente consoni alla loro reale provenienza. Come dice infatti un mio amico, negli almanacchi nobiliari è censito circa il 60% dei nobili veri, e il 100% dei nobili falsi!
Vedo già le faccine scandalizzate delle contessine, i musetti aggrottati dei frequentatori dell'alta società, e i valletti in polpe pronti a prendere drastici provvedimenti di espulsione a voce ferma sebbene stridula...ma sono desolato per tutti loro. Questa è casa mia e si segue l'imperativo di cercare la Verità. Qui il re viene messo a nudo senza troppi riguardi, e non basta una decorazione a croce biforcata per coprire le intime cose che tutti sanno ma che nessuno dice se non sottovoce al compagno di pettegolezzi del momento. Salvo poi essere consapevoli (cosa rara...) che, come dice un mio amico, i nobili passano metà del tempo a parlar male degli altri, e l'altra metà del tempo a controllare che gli altri non parlino male di loro...con il risultato che tutti finiscono per parlar male di tutti!
Venendo a noi, chiunque abbia un minimo di coscienza storica, ma proprio un minimo, sa bene che le falsificazioni genealogiche e nobiliari sono vecchie quanto la genealogia e la nobiltà. E questa cosa è tanto vera che in epoche di maggiore sincerità, nonchè di maggiore opportunità dell'esistenza stessa della nobiltà (oggi, diciamocelo, del tutto inutile), gli stessi nobili non avevano vergogna a commissionare genealogie che sublimavano coscientemente nella fantasia letteraria, nell'artificio stilistico, nel canovaccio di un'opera barocca che era chiaramente concepita per cantare il trionfo del committente molto più che la veridicità della storia e dei documenti che la narrano. Pensate forse che i principi Massimo, nobile famiglia romana, abbiano veramente creduto di poter discendere da Quinto Fabio Massimo "il temporeggiatore" vissuto a Roma nel III secolo prima di Cristo? O davvero nei membri di casa Colonna, altra famiglia di principi romani, scorre il sangue della Gens Iulia, di Giulio Cesare e quindi di Enea?
Ovviamente no. E questo perchè loro sapevano bene che la nobiltà e la genealogia hanno nella vanità, e non nella verità, l'imprescindibile principio primo. La qual cosa era ai tempi assolutamente scontata, visto che la nobiltà costituiva l'involucro di un potere autentico e tangibile, chiamato ad esprimersi quotidianamente nei ruoli sociali, nei gravosi incarichi di governo, nella proprietà di terre e ricchezze da amministrare e trasmettere quale veicolo di appartenenza al ceto dirigente. Oggi che il potere si è spostato dall'anticamera delle corti alle borse valori di Londra e New York, il pascolo della nobiltà resta aperto a scorribande di eunuchi modaioli, di tardivi censori al botulino e di altrettanto tardive femmine scaltramente a caccia del fesso di turno purchè coronato. Il risultato di questo eccessivo "prendersi sul serio" è che il falso viene ritenuto vero quando il suo fine era l'essere innoquamente e vanitosamente verosimile e nulla più, e dunque via a stracciarsi le vesti difronte al "nobile patacca" inconsapevole epigono di una lunga e gloriosa tradizione di fantasie umanamente comprensibili e affatto lesive dei diriti di chicchessia!
Il problema, comunque, verteva e verte sulla reperibilità della documentazione fondativa del preteso diritto di nobiltà, e tale problema fino a non troppi anni addietro era affrontato con una certa larghezza di manica. Basti pensare che ancora il Regolamento della Consulta Araldica del gennaio 1888, agli art. 22 e 25, permetteva l'emanzazione di atti di riconoscimento di titoli e predicati nobiliari senza che fosse necessario l'apporto di particolari documentazioni, bastando il possesso e l'uso pubblico e pacifico per almeno quattro generazioni. Tale provvedimento permise, come immaginabile, un quantitativo ingente di ingressi nella nobiltà di "titolati" non propriamente giustificabili dal punto di vista storico nell'esercizio delle loro oramai consolidate prerogative, e venne soppresso solo dall'articolo 14 del R.D 21 gennaio 1929 n. 61 sebbene lo stesso decreto, all'articolo 133, ancora consentisse la presentazione di domande di riconoscimento della semplice nobiltà o di un titolo primogenitale per lungo uso, ossia sempre con il semplice possesso pubblico e pacifico per almeno cinque generazini, e ciò fino al 31 dicembre 1932. E questo per dire che ancora oggi sono annotate nell'Elencho Ufficiale della Nobiltà Italiana, conservato all'Archivio di Stato, non poche famiglie che hanno avuto conferma dei loro "diritti" nel modo descritto poch'anzi e che, in forza di tali provvidenziali inserimenti, oggi sono annoverate nelle "prime parti" dei moderni almanacchi nobiliari, nonchè nelle classi nobiliari degli ordini che prevedono tali distinzioni.
Ma, rimanendo ad un approccio documentale, come avveniva, e avviene, la creazione di un falso nobile? In linea puramente astratta la cosa è molto semplice: basta riprodurre in maniera sufficientemente credibile quei documenti che gli almanacchi, e gli ordini cavallereschi, richiedono per inserire il candidato nelle classi nobili. La qual cosa, naturalmente richiede l'esercizio di due virtù rare: la prudenza e la perizia. La prudenza, innanzitutto, perchè la falsificazione di qualunque documenti è uno sport pericoloso, dagli esiti anche penalmente rilevanti, e non di rado porta a risultati poco credibili: come pensate che possa essere accolto un documento provante l'uso di uno stemma quando nel periodo in questione la famiglia a cui si pretende di attribuire il predetto stemma risulta analfabeta, senza proprietà immobiliari ed esercente il lavoro dei campi? Affinchè un falso sia credibile deve infatti essere coerente con la situazione nella quale si va ad inserire, e dunque non in contraddizione con la realtà. Tanto meno quella documentaria, dovendosi dunque ritenere una pessima idea l'inserimento in un pubblico archivio (fattispecie penalmente rilevante!) di un documento di propria creazione, sebbene verosimile nei contenuti e nella forma, senza tuttavia tenere conto del numero di serie delle carte contenute nella filza stessa, realizzando così un "doppio numero" quantomeno sospetto...
E ancora: la perizia. Falsificare è un arte. Un documento falso, per essere credibile, deve essere vergato su supporto d'epoca (carta coerente con la data del documento stesso), inchiostro di un certo tipo (c'è cospicua trattatistica sugli ingredienti degli inchiostri antichi), scrittura credibile perchè conforme alle canonizzazioni dell'epoca (anche qui, sono necessarie non poche conoscenze paleografiche), il tutto realizzato da una persona che abbia una buona mano e sappia fare materialmente quello che tutti, più o meno, possono sapere in teoria.
Tornando al nostro argomento, naturalmente le falsificazioni possono riguardare qualunque cosa: da uno stemma su marmo ad un monile d'oro o d'argento, valendo sempre i due principi esplicitati sopra. Ogni oggetto aveva nel passato le sue tecniche di fabbricazione e solo riproducendo le stesse identiche modalità si può essere sicuri di riprodurre un oggetto credibile.
Alcuni arditi, nei decenni passati, sono giunti addirittura a falsificare non solo una generica nobiltà o una distinta civiltà, ma addirittura titoli nobiliari veri e propri. Come abbiano fatto, è per me fonte di grande stupore unita ad un pizzico di ammirazione. Alcune regioni d'Italia, soprattutto, sono state vere e proprie fucine di falsi nobili (Calabria, Umbria e Marche soprattutto...), complice l'esistenza di patriziati locali poco studiati e dunque costituenti un patrimonio araldico-nobiliare ampiamente saccheggiabile semplicemente inventando collegamenti e discendenze false ma astrattamente possibili per omonimia, facendole avvalorare da pubblicazioni locali ampiamente prezzolate e, con l'aiutino di qualche buona amicizia nell'ambiente nobiliare che conta, ecco lì che il signor Pinco Pallo, un tempo figlio del droghiere, diventa il signor nobile Pinco Pallo patrizio di XXX.
In tutta questa baraonda ci soccorre l'opinione di un signore che naviga l'ambiente dalla nascita, ossia il principe Sforza Ruspoli il quale ebbe giustamente a notare come il Libro d'Oro della Nobiltà Italiana (ai tempi l'unico almanacco in circolazione, edito dal Collegio Araldico di Roma) all'abolizione della monarchia contava una sessantina di pagine mentre 60 anni più tardi ne aveva più di mille. Legittimo supporre, dunque, l'ingresso di qualche infiltrato...
Proprio al riguardo, un altro signore che sa il viver del mondo mi ha fatto cortesemente notare come sovente le inserzioni negli almanacchi nobiliari successive alla caduta della monarchia abbiano riguardato famiglie legate da rapporti di parentela con casati già presenti nella "prima parte" degli almanacchi medesimi, oppure assurte a ruoli di un certo qual rilievo nella politica e nell'industria, e dunque dotate di una certa influenza quantificabile non solo (ma anche) in termini di denaro...e si sa, le norme si applicano per i nemici mentre per gli amici si interpretano...
Resto dunque della mia opinione: è molto più decoroso comprarsi un titolo ex novo, formalmente certificato nella sua esistenza da una autorità statale che è l'unica possibile fons honorum dotata di certezza e affidabilità, piuttosto che dire di discendere da antenati non propri pasticciando il tutto con falsità, amicizie e maneggi vari. E questo sia perchè una genealogia falsa è oggettivamente indecente, in quanto contraria alla Verità, sia perchè una tale condotta mi pare oltremodo irrispettosa dei nostri maggiori a cui, nel bene e nel male, dobbiamo il bene della vita unitamente a quel poco o tanto di benessere per il quale riteniamo di poterci permettere attenzione e cura per un aspetto del tutto accidentale dell'esistenza qual è la nobiltà.