Allora, prima di iniziare a parlare del nostro argomento, con la necessaria concisione e velocità vi debbo dire che state perdendo tempo ed energie per qualcosa che non esiste. O meglio, che esiste ancora nella testa di pochi matti, e quindi come tale è comunque un fenomeno sociale degno di considerazione, ma che per il nostro ordinamento ha cessato di avere valore nel 1948.
Volendo fare una ricostruzione di sistema della situazione attuale della nobiltà, gli articoli della Costituzione che hanno disciplinato la materia (ossia la XIV disposizione transitoria e finale) così come interpretati dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 101 del 1967) e dalla Corte di Cassazione (sentenza a sezioni unite n. 935 del 1969 e sentenza n. 2426 del 1991) la situazione è la seguente:
1) La Repubblica non riconosce la nobiltà e i titoli nobiliari. Per cui ai fini del diritto (e quindi ai fini di ciò che conta, che ha peso e che regola la vita delle persone) la nobiltà è un fenomeno DEFINITIVAMENTE PASSATO, appartenente da un mondo che non c'è più. Un fenomeno, insomma, GIURIDICAMENTE IRRILEVANTE sebbene nel privato ognuno possa farsi chiamare con i titoli che vuole, veri o falsi che siano.
2) I titoli, sebbene rientranti nel lecito giuridicamente irrilevante, sono da considerare come "presupposti di mero fatto" in taluni casi nei quali necessariamente per far valere certe situazioni giuridiche soggettive si deve ricorrere alla legislazione nobiliare del vecchio regno d'Italia. Il caso classico è la cognomizzazione del predicato, oppure si pensi al caso in cui Tizio nomini proprio erede universale il conte di Roccacannuccia. In quest'ultimo caso chi è incaricato di dare seguito alle disposizioni testamentarie (e quindi, di rispettare la legislazione italiana in materia di successioni) dovrà vedere quali sono le norme che regolano il trasferimento del titolo di conte di Roccacannuccia, e quindi dovrà andare a vedere se il titolo passa solo ai maschi, o anche alle femmine, se spetta solo ad una persona o a tutti i discendenti secondo la successione longobarda etc.
3) Ovviamente, qualunque acquisizione di titoli nobiliari o di posizioni nobiliarmente rilevanti successiva al 1948 - il caso tipico è investitura da parte di un sovrano estero ancora sul trono - sono tutte fattispecie che MAI E POI MAI possono avere rilievo per l'ordinamento italiano che già considera irrilevanti i titoli nobiliari italiani, figurarsi quelli provenienti da fontes honorum estere. Il titolo potrebbe essere oggetto di accertamento in via incidentale come presupposto di fatto come detto al punto n. 2, ma al di fuori di questo caso non avrebbe alcuna altra rilevanza per l'ordinamento italiano.
Quindi, per farla breve, della nobiltà che acquisirete seguendo i consigli di questo sito non importa all'unico ente a cui dovrebbe importare, cioè allo Stato. Quella nobiliare è dunque una posizione che io per comodità chiamerò ancora "status giuridico" ma che in realtà è più che altro uno "status sociale" retto da regole formalmente giuridiche ma nella sostanza disconosciute dall'unico ente che dovrebbe veramente farle applicare, ossia lo Stato.
Da questa situazione discende tutta la confusione che regna in materia, l'esistenza di centri multipli che si arrogano il diritto di fare e dire tutto e il contrario di tutto, insomma il clima da pollaio che regna nel settore.
Volendo fare una ricostruzione di sistema della situazione attuale della nobiltà, gli articoli della Costituzione che hanno disciplinato la materia (ossia la XIV disposizione transitoria e finale) così come interpretati dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 101 del 1967) e dalla Corte di Cassazione (sentenza a sezioni unite n. 935 del 1969 e sentenza n. 2426 del 1991) la situazione è la seguente:
1) La Repubblica non riconosce la nobiltà e i titoli nobiliari. Per cui ai fini del diritto (e quindi ai fini di ciò che conta, che ha peso e che regola la vita delle persone) la nobiltà è un fenomeno DEFINITIVAMENTE PASSATO, appartenente da un mondo che non c'è più. Un fenomeno, insomma, GIURIDICAMENTE IRRILEVANTE sebbene nel privato ognuno possa farsi chiamare con i titoli che vuole, veri o falsi che siano.
2) I titoli, sebbene rientranti nel lecito giuridicamente irrilevante, sono da considerare come "presupposti di mero fatto" in taluni casi nei quali necessariamente per far valere certe situazioni giuridiche soggettive si deve ricorrere alla legislazione nobiliare del vecchio regno d'Italia. Il caso classico è la cognomizzazione del predicato, oppure si pensi al caso in cui Tizio nomini proprio erede universale il conte di Roccacannuccia. In quest'ultimo caso chi è incaricato di dare seguito alle disposizioni testamentarie (e quindi, di rispettare la legislazione italiana in materia di successioni) dovrà vedere quali sono le norme che regolano il trasferimento del titolo di conte di Roccacannuccia, e quindi dovrà andare a vedere se il titolo passa solo ai maschi, o anche alle femmine, se spetta solo ad una persona o a tutti i discendenti secondo la successione longobarda etc.
3) Ovviamente, qualunque acquisizione di titoli nobiliari o di posizioni nobiliarmente rilevanti successiva al 1948 - il caso tipico è investitura da parte di un sovrano estero ancora sul trono - sono tutte fattispecie che MAI E POI MAI possono avere rilievo per l'ordinamento italiano che già considera irrilevanti i titoli nobiliari italiani, figurarsi quelli provenienti da fontes honorum estere. Il titolo potrebbe essere oggetto di accertamento in via incidentale come presupposto di fatto come detto al punto n. 2, ma al di fuori di questo caso non avrebbe alcuna altra rilevanza per l'ordinamento italiano.
Quindi, per farla breve, della nobiltà che acquisirete seguendo i consigli di questo sito non importa all'unico ente a cui dovrebbe importare, cioè allo Stato. Quella nobiliare è dunque una posizione che io per comodità chiamerò ancora "status giuridico" ma che in realtà è più che altro uno "status sociale" retto da regole formalmente giuridiche ma nella sostanza disconosciute dall'unico ente che dovrebbe veramente farle applicare, ossia lo Stato.
Da questa situazione discende tutta la confusione che regna in materia, l'esistenza di centri multipli che si arrogano il diritto di fare e dire tutto e il contrario di tutto, insomma il clima da pollaio che regna nel settore.